In un contesto sociale in cui la moda è sempre più effimera e volatile, dove la globalizzazione banalizza le tendenze e le riduce in « flavour-of-the-day » (gusto del giorno), la mostra dedicata a Mary Quant, attualmente in corso al museo V&A di Londra, é una lezione di moda eterna ed emozionante…

Mary Quant, la minigonna e molto di più
Ci sono persone che ci pare conoscere da sempre, contesti storici di cui sentiamo parlare da sempre, che ci appaiono familiari, evidenti, eterni. Qualcuno li ha vissuti… altri ne hanno solo sentito parlare, eppure sono sempre vivi, presenti, mai sorpassati, solidi.
Mary Quant e la sua epoca ne fanno parte.
Girando per questa mostra atipica, il cui percorso, piuttosto libero, circolare e non diretto da una cronologia logica, ci ricorda un po’ l’anarchia creativa dell’epoca in cui lei è diventata famosa, mi rendo conto che la spontaneità che la figura di Mary Quant ha ispirato a tutta una generazione, e poi a tutte le altre, è invece il risultato di un lavoro minuzioso e soprattutto di un talento innato, di un «fiuto» infallibile e di una caparbia non comune.
Per Mary Quant sarebbe stato tutto difficile, anzi impossibile, se non avesse avuto quella personalità unica, anticonformista, se avesse tenuto conto delle critiche, delle difficoltà, delle sue origini, della sua infanzia e di un destino forse già tracciato…
Nata nei primi anni ’30, in una famiglia modesta di origine gallese, impone la sua decisione d’iscriversi ad una scuola d’arte in questi primi anni ’50, finalmente gratuita in Inghilterra, dove tutte le classi sociali s’incontrano per la prima volta e sognano insieme un mondo migliore, disegnando, illustrando, creando.
La Swinging London nasce fra questi muri e si diffonde per le vie di Londra, con la spensieratezza, la speranza e l’ottimismo di quella generazione che ha conosciuto la guerra e che si è giurata di non riviverla mai più.
I suoi genitori le dicono che
«la moda è sinonimo di un non-futuro»

Dopo aver incontrato il suo futuro marito, accetta un impiego da sarta per un breve periodo. Presto, però, rifiuterà l’avvenire predefinito delle ragazze come lei, senza vantaggi sociali, non si accontenterà del possibile, ben decisa ad essere artefice del suo destino.
Allora molla tutto e, seguita da suo marito, si lancia in una grande avventura: aprire una boutique, che lei sogna «diversa dalle altre». Nasce così, «Bazaar».
Non le costerà granché, perché lei ha un’idea singolare.
King’s Road, la via più elettrizzante ed eclettica di Londra all’epoca, ospita questa boutique di un nuovo genere: una specie di mercatino delle pulci, con capi usati sì, ma scelti ad arte da Mary che, ispirata dall’ambito in cui ha studiato, riunisce artisti di ogni genere, musicisti, designer, pittori… di tutto e di più.
Dopo aver lanciato un primissimo modello di pigiama, diventato immediatamente un «best seller», Mary Quant è sempre più esigente, sempre più insoddisfatta. Impaziente, sa già che quest’epoca le appartiene, che nessuno indovina i desideri delle giovani come lei, che qualcosa deve cambiare.
Non ama la moda del momento. La trova troppo seria, antiquata, inadeguata, lontana dalla realtà quotidiana delle donne, banale e decisamente troppo cara!

Con la fine degli anni ’50, Mary Quant sogna già di vestiti più facili da portare, più corti, che semplifichino la vita, immagina forme triangolari, più comode, tessuti o materiali nuovi, meno «nobili», ma insoliti, come il vinile, ed impone il colore. Proporre la semplicità rendendo ogni donna unica è la sua proposta inedita e diventa il suo motto.

Rifiutando l’idea di una moda «elitista», lancia la sua prima collezione ed apre una seconda boutique. La moda è finalmente per tutte !

L’Inghilterra sembra svegliarsi da un lungo sonno, la rivoluzione è nell’aria, a ritmo di Beatles, di Rolling Stones… e di gambe esposte!
In un’Inghilterra ancora fedele alla rigida tradizione vittoriana, in cui la parola «leg» (gamba) a corte è scabrosa anche per definire «le gambe del tavolo», esporre le gambe diventa una provocazione di massa, che nessuno può più evitare.
Oh, certo, ci sono quelli che bussano violentemente sul vetro del negozio, gridando il loro disgusto… ma Audrey Hepburn e Brigitte Bardot vanno e vengono per la boutique di Mary Quant, confondendosi con ragazze di ogni ceto sociale. Anche loro si sentono diverse da tutte, e trovano in Mary Quant l’alleata ideale.
Gli anni ’60 saranno i suoi: la minigonna è nata.

Sarebbe ingiusto, però, prendere una scorciatoia ed affermare che Mary Quant ha «inventato» la minigonna. Non l’ha inventata, certe ragazze portavano già i vestiti più corti a Londra e, a Parigi, André Courrège aveva appena lanciato, anche lui, una linea di vestiti decisamente più corti.
Ed è proprio questo il genio di Mary Quant: non ha inventato la minigonna, ma l’ha «sentita» arrivare ed è riuscita a diventarne il simbolo supremo, assoluto, mondialmente incontestato.
Il grande Vidal Sassoon crea per lei il famoso taglio a caschetto («bob»), a forma di scodella rovesciata, che diventerà l’emblema di tutta una generazione.

Le modelle-star dell’epoca, Twiggy e Jean Shrimpton posano per lei, in un ambiente di lavoro improvvisato, sonoro, amichevole, ma pur sempre esigente, senza contare le ore di lavoro.
Le copertine dedicate a Mary Quant si moltiplicato e fanno furore. Anche l’America è sedotta, la mitica redattrice di Vogue, Diana Vreeland, dichiarerà che l’arrivo di Mary è un «youthquake» (gioco di parole che deriva dal termine earthquake, terremoto, e youth, giovinezza, e che potremmo tradurre come «terremoto provocato dalla gioventù»).
A partire dal 1960, e per più di 30 anni, Mary Quant è instancabile e lancia il primo vero concetto di «global brand» (marchio globale), creando diverse linee di trucco, di collant e di prodotti di ogni genere, firma il design di automobili ed apre un ristorante nel sottosuolo del suo negozio… Mary Quant non è più solo un marchio, è uno stile di vita, una certa idea della vita, della moda.
Chi la ama, la segua. L’Inghilterra, poi il mondo intero, la seguiranno.

Mary Quant ha esplorato, sperimentato, inventato, non ha mai rinunciato. Ha sognato ed ha realizzato. Senza chiedersi se fosse possibile, ha agito.
Il suo segreto è la conoscenza ed il rispetto per le donne. Tutte. Liberarle da vestiti stretti e lunghi, creare delle forme e dei modelli economici, annullare dal vocabolario della moda la parola «snob», e ridarne un senso, non solo uno stile, un manifesto.
Mary Quant ha vissuto intensamente il suo periodo, calcolando solo col cuore e con l’intuito.
E quando ha sentito che il suo periodo era terminato, si è ritirata.
Ma senza amarezza, anzi. Con gioia e soddisfazione.
Oggi vive nel sud di Londra una vita tranquilla, lontana dai flash, non dà interviste, ha già detto tutto quello che voleva dire, o meglio, l’ha gridato.
Alla fine del mio percorso, aprendo a caso la sua autobiografia, «Quant by Quant», in vendita alla boutique del museo, mi appaiono queste parole, relative alla nostra epoca:
«… Oggi la super-woman è nata, è come un’atleta, si siede come un uomo, e può dare il suo nome ai figli. Ha finalmente il controllo».
No, la rivoluzione femminile non è finita, ci sono ancora tante cosa realizzare. Ma Mary ha ragione, le ragazze di oggi sono delle super-women, sono come lei le voleva: tutte diverse, ma ugualmente belle… ed ognuna vale la pena.
Allora grazie, Dame Mary Quant.

La mostra su Mary Quant è al museo V&A di Londra fino al 16 Febbraio 2020
Articolo scritto da Mila Maggio, docente del modulo “Moda e Tendenze” presso ESR Italia.